Commento all’Ordinanza della Corte Suprema di Cassazione, n. 25111/2020 del 10 novembre 2020.
I giudici della nomofilachia, nell’ordinanza in oggetto, n. 25111/2020, hanno affrontato la ricorrente questione relativa agli atti di accertamento per i trasferimenti immobiliari in presenza di uno scarto tra il valore dichiarato e quello emergente dalle rilevazioni OMI.
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate di Matera ha rideterminato, in applicazione del d.l. 223/2006, art. 35, il valore degli immobili ceduti dal contribuente per l’anno di imposta 2014, sulla base delle quotazioni rilevate dall’Osservatorio del mercato immobiliare. Ne è scaturito un avviso di accertamento col quale l’AdE ha recuperato maggiore IVA e maggiore IRAP, che la società ha tempestivamente impugnato, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale, decisione, poi, confermata anche in appello e avverso cui l’AdE ha proposto ricorso per ottenerne la cassazione.
La questione sottoposta alla Corte ruota intorno alla metodologia di accertamento cd. analitico induttivo, sovente utilizzato per la rettifica dei redditi d’impresa, la cui fonte risiede nell’art. 39, comma 1, let. d) del d.p.r. n. 600/73, per le imposte dirette e nell’art. 54, comma 2, del d.p.r. n. 633/1972, per l’IVA.
Innovando la tradizionale impostazione, l’art. 35, commi 2 e 3, del d.l. n. 223/2006 aveva introdotto, per entrambe le tipologie di imposte, la possibilità di rettificare il valore dei beni immobili oggetto di cessione sulla base del valore normale. Al riguardo, con successivo provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 27 luglio 2007, i criteri per la determinazione del valore normale dei fabbricati vennero fatti coincidere con i valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia del territorio, trasformando, di fatto, il valore normale desumibile dai valori OMI in una sorta di corrispettivo minimo da dichiarare al fine di evitare l’accertamento.
Tuttavia, la stagione dei valori OMI ha avuto durata breve, poiché a seguito di procedura di infrazione n.2007/4575, la Commissione europea ha rilevato l’incompatibilità di tali disposizioni, introdotte dal decreto “Visco-Bersani” del 2006, con il diritto comunitario (incompatibilità ritenuta estendibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette).
Ne consegue che gli Uffici non potranno più svolgere, di fatto, rettifiche di tipo analitico sulla base del valore normale degli immobili, ossia sul semplice richiamo ai valori OMI.
Come sottolinea la Suprema Corte in sentenza: “è stato così ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006, sopprimendo la presunzione legale (ovviamente relativa) di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, con la conseguenza che tutto è tornato ad essere rimesso alla valutazione del giudice, il quale può, in generale, desumere l’esistenza di attività non dichiarate anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti: e ciò – deve intendersi con effetto retroattivo, stante le finalità di adeguamento al diritto comunitario che ha spinto il legislatore nazionale del 2009 ad intervenire”.
Ne deriva che, negli accertamenti aventi ad oggetto la cessione di immobili si elimina qualsiasi riferimento al valore normale e la differenza tra quantum dichiarato e valori OMI è tornata ad essere ex tunc una presunzione semplice, che, in assenza di ulteriori indizi, non è idonea a suffragare l’accertamento.
In conclusione, adeguandoci alla giurisprudenza di legittimità, non possiamo che sottolineare come le quotazioni OMI, consistendo in mere elaborazioni statistiche che non garantiscono affatto la sovrapponibilità con la specifica compravendita, rappresentano solo il dato iniziale ai fini dell’individuazione del valore venale dell’immobile, necessitando l’AdE di ulteriori elementi probatori a sostegno della pretesa impositiva.
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